artemisie

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Artemisia Gentileschi

Haveva Orazio una figlia chiamata Artemisia, che nella pittura si rese gloriosa, e sarebbe stata degna d’ogni stima se fusse stata di qualità più onesta e onorata”. (Passeri 1772, p. 122).

Maritata poi e condotta dal Marito in Firenze sua Patria, quivi fece Quadri, et Ritratti tanto stimati, e pregiati che… adornarono et tuttavia adornano le camere et sale de’ maggiori et più pregiati huomini e Principi illustrissimi, et serenissimi insieme [crossed out: in lode di cui (degnamente però i più elevati ingegni di Firenze [oltre quei di Roma] fecero compositioni nobilissime) tra’ quali] che hoggi vivano della detta Città”. (Cristofano Bronzini 1615-22, in Barker 2018, p. 433).

In casa di Giovanni Luigi Arrighetti nobile Fiorentino è un bel quadro di mano dell’Artemisia, in cui rappresentò ella in proporzione poco meno di naturale l’Aurora vaga femmina ignuda con chiome sparse, e braccia stese innalzate verso il Cielo, ed essa in atto di sollevarsi dal suo orizzonte, nel quale veggonsi apparire i primi albori, e di portarsi a sgombrare alquanto le fosche caligini della notte. E veramente ell’è opera bella, e che fa conoscere fino a qual segno giungesse l’ingegno, e la mano d’una tal donna”. (Baldinucci 1680 c., p. 253).

Anche se non è la prima artista ‘professionista’ dell’età moderna, Artemisia Gentileschi è diventata un’icona del femminismo e della storia delle donne perché, oltre a essere stata un’artista straordinaria, ha vissuto una vita altrettanto straordinaria.

Artemisia nasce a Roma l’8 luglio 1593 da Orazio e Prudenzia di Ottaviano Montoni, primogenita e unica femmina di sei figli. Orazio Gentileschi era nato a Pisa (battezzato il 9 luglio 1563) da una dinastia di artisti e orafi di origine fiorentina. Gentileschi era il cognome materno, mentre quello paterno era Lomi, che Artemisia utilizzerà durante il suo soggiornoa Firenze, dove era ancora viva la fama sia del nonno orafo Giovan Battista che degli zii Baccio e Aurelio, fratelli maggiori di Orazio, entrambi pittori.

Orazio approda a Roma da adolescente (tra il 1576 e il 1578) e diventa un pittore prima tardo manierista, poi influenzato dal naturalismo di Caravaggio, di cui era anche amico personale, come si evince dalla testimonianza resa da Orazio il 12 e 14 luglio 1603 nel processo per diffamazione intentato dal pittore Giovanni Baglione contro il Merisi.

L’11 giugno 1597 viene battezzato il secondo fratello di Artemisia, Francesco. Secondo l’atto, la famiglia viveva in “Platea Ss. Trinità (attuale piazza di Spagna), parrocchia di S. Lorenzo in Lucina. Il 16 settembre 1599 viene battezzato il terzo figlio maschio di Orazio, Giulio, e allora sono detti residenti in via Paolina (via del Babuino). Il 24 settembre 1601 muore il primogenito Giovanni Battista; il 13 ottobre viene battezzato un altro bimbo con lo stesso nome, che tuttavia muore il 2 febbraio 1603. Il 30 maggio del 1604 nasce Marco. Il 26 dicembre 1605 la madre Prudenzia, trentenne, muore di parto. A 12 anni, Artemisia si trova a doversi occupare dei suoi tre fratelli minori. Artemisia comincia il suo apprendistato nella bottega del padre nel 1608-09 circa, visto che Orazio, in una lettera datata 6 luglio 1612 alla granduchessa vedova di Toscana, Cristina di Lorena, scrive che “Questa femina… avendola drizzata nella professione della pittura, in tre anni si è talmente appraticata…”.

Nel 1610 Artemisia dipinge Susanna e i vecchioni (collezione Graf von Schönborn, Pommersfelden, Germania), la sua prima opera firmata e datata.

All’inizio del 1611 il clan Gentileschi risulta abitare in via Margutta ma in seguito si trasferiscono in via della Croce e, dal principio del 1612, in Borgo Santo Spirito.

Dal 1611 Orazio inizia una fruttuosa collaborazione con il pittore Agostino Tassi (Ponzano Romano, 22 gennaio 1588 - Roma, 12 marzo 1644), apprezzato quadraturista e paesaggista. Orazio gli chiede di integrare con lezioni di disegno prospettico la formazione di Artemisia, la più talentuosa e promettente dei suoi figli, proprio mentre i due artisti sono impegnati negli affreschi del Casino delle Muse nel giardino del palazzo del cardinale Scipione Caffarelli Borghese, oggi Palazzo Pallavicini Rospigliosi. Si ritiene che la figura femminile con ventaglio nella loggetta sia proprio la giovanissima Artemisia che, frequentando il cantiere da tirocinante, avrebbe fatto anche da modella. Nonostante i trascorsi giudiziari del Tassi, Orazio aveva grande stima e fiducia in Agostino, tanto da permettergli di frequentare la sua casa e la zitella Artemisia. Ma dopo diversi approcci, tutti rifiutati, approfittando dell’assenza di Orazio, il 6 maggio del 1611 Tassi violenta Artemisia. Lo stupro si consuma nell’abitazione dei Gentileschi in via della Croce, con la complicità di Cosimo Quorli, furiere della camera apostolica, e di una certa Tuzia, una vicina di casa che spesso fungeva da chaperon della ragazza. Questa esperienza segnò in modo drammatico la biografia e la personalità della Gentileschi. Il processo dura dal 2 marzo al 29 ottobre 1612. Nella sua deposizione del 28 marzo 1612, Artemisia descrive così l’episodio: “Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch’io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano me le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro”. Artemisia racconta che per difendersi gli graffiò la faccia e gli strappò i capelli ma il Tassi riesce comunque a portare a termine la violenza. Compiuto lo stupro, Artemisia lo ferisce con un coltello, poi scoppia a piangere. Tassi allora cercò di calmarla dicendole: “Datemi la mano che vi prometto di sposarvi come solo uscito dal laberinto che sono”. Artemisia ricorda che “con questa promessa mi ha indotto a consentir doppo amorevolmente più volte alle sue voglie che questa promessa anco me l’ha più volte riconfermata; e perch’io doppo hebbi notitia che lui haveva moglie mi dolsi seco di questo tradimento e lui sempre me l’ha negato dicendomi che non haveva moglie e sempre m’ha confermato che altro che lui non m’haveva presa”. Quando poi l’inquisitore Francesco Bulgarello le chiede se avesse mai ricevuto doni o denaro per avere rapporti con Tassi, la pittrice nega decisamente, affermando che si erano scambiati dei doni solo in occasione del Natale 1611 “ché quello che facevo seco lo facevo solo che m’havesse a sposare vedendomi da lui vittuperata”. Su ordine del giudice, le levatrici Diambra e Caterina visitano Artemisia per appurare se fosse ancora vergine e, in caso contrario, da quanto avesse perso la verginità. Le due donne testimoniano che era stata deflorata e Caterina specifica: “trovo che lei è sverginata perché il velo e panno verginale è rotto, e questo è stato da un tempo in qua e non di fresco”.

Il 14 maggio 1612 Tassi viene di nuovo chiamato dai giudici, che contestavano la sua deposizione. Artemisia viene interrogata in sua presenza e sottoposta al tormento “dei sibilli”, che consiste nel legare delle cordicelle intorno alle dita del testimone mentre è sotto giuramento e stringerle per forzarlo a dire la verità. Tassi conferma ogni deposizione precedente e sfida Artemisia, assente, a ribadire quello che aveva deposto. Artemisia viene riconvocata e riconferma le precedenti dichiarazioni: “come ho detto mi fidavo di lui, et non haveria mai creduto havesse ardito d’usarmi violenza et far torto et a me et alla amicitia che ha con detto mio Padre, et non mi accorsi se non quando [...] mi si mise attorno per violentarmi”. La pittrice firma poi un verbale per formalizzare la sua testimonianza in presenza di Agostino. Questi nega ogni parola di Artemisia e aggiunge che aveva saputo che lei era stata con un altro uomo. Per tutta risposta, Artemisia mostra a Tassi e ai giudici un anello, sostenendo che fosse dono di lui e pegno della promessa di matrimonio. La pittrice conclude la deposizione affermando che aveva tardato a far denunciare Tassi perché sperava che lui la sposasse, ma di avervi rinunciato non appena saputo che era già coniugato.

Il processo si protrae ancora per qualche mese perché vengono verificate le deposizioni dei testimoni. Grazie alle ricerche di Mary D. Garrard, si è scoperto che sono andate perdute almeno sette deposizioni a favore di Agostino. Il 27 novembre 1612 Agostino Tassi è condannato per la deflorazione di Artemisia Gentileschi, corruzione dei testimoni e diffamazione di Orazio Gentileschi. Il giudice Gerolamo Felice gli impone di scegliere tra cinque anni di lavori forzati o il bando perpetuo da Roma. Il giorno seguente Tassi sceglie l’esilio, ma la condanna non viene mai eseguita perchè Tassi resta a Roma e continua a lavorare per i suoi potenti committenti. 

Già durante il processo Orazio Gentileschi organizza un matrimonio riparatore per la figlia. Il contratto viene firmato a Firenze dal futuro sposo e suo padre il 17 agosto 1612. Il prescelto è il modesto pittore (detto “spetiale”) fiorentino Pierantonio Stiattesi (nato nel 1584), che Artemisia sposa nella parrocchia di Santo Spirito in Sassia il 29 novembre 1612, due giorni dopo la sentenza. La coppia si stabilisce a Firenze all’inizio del 1613. Tra i dipinti attribuiti alla sua giovinezza romana, la Madonna col Bambino (1610-1611) della Galleria Spada a Roma, Giuditta che decapita Oloferne del Museo nazionale di Capodimonte di Napoli (1612-1613) e la Danae del Saint Louis Art Museum, USA (1612).

Artemisia arriva a Firenze con la lusinghiera presentazione del padre alla granduchessa vedova, Cristina di Lorena. Nella citata lettera del 6 luglio 1612, Orazio affermava che in tre anni di tirocinio Artemisia aveva raggiunto una competenza comparabile a quella di artisti maturi: “Questa femina, come è piaciuto a Dio, avendola drizzata nella professione della pittura, in tre anni si è talmente appraticata che posso ardir de dire che hoggi non ci sia pare a lei, avendo per sin adesso fatte opere che forse i principali maestri di questa professione non arrivano al suo sapere”. La Gentileschi allestisce uno studio a casa dei suoceri, in via del Campaccio, e viene introdotta dallo zio Aurelio Lomi alla corte medicea, dove conosce Francesca Caccini, la virtuosa cantante, strumentista e compositrice immortalata nella Santa Cecilia che suona il liuto del padre Orazio (National Gallery of Art, Washington, D.C.). Quanto alla Suonatrice di liuto di Artemisia, mentre quella del Wadsworth Athaeneum di Hartford, CT (1616-18) viene di solito considerata un autoritratto, la versione della Galleria Spada (1616 c.) potrebbe essere un ritratto della Caccini (Garrard 2020) o un omaggio alla memoria della prima compositrice a pubblicare la propria musica, la madrigalista Maddalena Casulana (doc. tra 1544 e 1590), che era stata anche liutista. Oltre che nella musica e nel nuovo genere del Recitar cantando, Firenze era una città all’avanguardia nelle scienze. Artemisia entra in contatto con le più eminenti personalità del tempo, fra cui Galileo Galilei, con il quale intraprende una fitta corrispondenza epistolare, e Michelangelo Buonarroti il giovane, nipote del celebre artista. Fu proprio quest’ultimo a introdurla nel colto mondo delle accademie fiorentine, procurandole numerose commissioni. Questo sodalizio intellettuale e umano è rappresentato dall’Allegoria dell’Inclinazione per la Galleria di Casa Buonarroti, ma anche dalla più tarda Aurora (1625-1627 o del primo periodo napoletano), realizzata per un committente fiorentino della cerchia di Buonarroti dopo che Artemisia aveva già lasciato la Toscana.

Il 19 luglio del 1616 Artemisia è la prima donna ad essere ammessa all’Accademia del Disegno di Firenze, istituzione presso la quale sarebbe rimasta iscritta fino al 1620. Per i Medici dipinge la Conversione della Maddalena (1615-1616) e Giuditta con la sua ancella (1618-1619), entrambe nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti. Agli Uffizi si trovano la Santa Caterina di Alessandria (1618-1619) e Giuditta che decapita Oloferne (1620).

Intanto il suo matrimonio, nonostante la nascita di cinque figli (Giovanni Battista nel 1613, seguito da Agnola nel 1614, entrambi morti dopo pochi giorni di vita; Cristofano il 8 novembre 1615; e dalle figlie Prudenzia detta Palmira, nata il 1º agosto 1617, e Lisabella, che vive solo 8 mesi dal 13 ottobre 1618 al 9 aprile 1619), si rivela un rapporto di pura convenienza e lo Stiattesi un amministratore fallimentare della carriera della moglie. Artemisia è costretta ad appellarsi alla benevolenza di Cosimo II per ripianare una grave situazione debitoria e cerca protezione e passione in una relazione extra coniugale con Francesco Maria Maringhi (1593 - post 1653). L’affair deve essere iniziato intorno al 1618 e prosegue dopo il fortunoso ritorno a Roma di Artemisia e famiglia nel 1620.

Un gruppo di 21 lettere di Artemisia (e suo marito) al Maringhi del 1618-20, scoperto nel 2011 da Francesco Solinas nell’Archivio Frescobaldi di Firenze, offre una testimonianza intima e diretta dei sentimenti e del carattere di Artemisia: dalle preoccupazioni economiche al dolore per la perdita del figlioletto Cristofano di 4 anni e mezzo, e alla gelosia per l’amante lontano. Pur con limitati mezzi espressivi (al processo del 1612 aveva dichiarato di essere illetterata), Artemisia riesce a trovare la sua voce e a comunicare l’immagine di una donna forte e determinata a mantenere il controllo del proprio destino e ottenere il rispetto e il riconoscimento che ritiene di meritare. La stessa consapevolezza del suo talento e delle sue capacità professionali, ma anche la difficoltà a imporsi in un mercato in cui le donne rappresentavano un’esigua minoranza, si ritrova negli scambi epistolari degli anni della maturità con importanti collezionisti dell’epoca, tra cui il nobiluomo siciliano don Antonio Ruffo (marzo 1649-gennaio 1651).

È documentata nel marzo-aprile del 1620 l’esecuzione di un “Ritratto della principessa Savelli” che è stato identificato con il dipinto, già nelle collezioni di Barbara Piasecka Johnson e di Edmund e Lily Safra, andato in asta da Sotheby’s, New York il 27 gennaio 2022, lotto n. 31. La dama raffigurata - che sfoggia un lussuoso abito di velluto nero ricamato d’oro - potrebbe essere la moglie di Paolo Savelli, Caterina, nata pure Savelli (? dicembre 1588 -Albano? 4 ottobre 1638) e sua cugina prima. Paolo Savelli (Roma, 1571 - 21 luglio 1632), dal 1607 principe di Albano e maresciallo di Santa Romana Chiesa, fu il più importante committente di Orazio Gentileschi a Roma almeno dal 1613 e una lettera del 27 marzo 1615 di Pietro Guicciardini da Roma ad Andrea Cioli a Firenze attesta che, nel 1615 appunto, Gentileschi risiedeva a palazzo Savelli (“ha la parte e si intrattiene in casa del principe Savello” (Crinò-Nicolson 1961), prima di trasferirsi nelle Marche.

Nella Pasqua del 1621 Artemisia è registrata negli Stati d’anime in un appartamento in via del Corso, di fronte ai giardini dell’ospedale di San Giacomo degli Incurabili, nella parrocchia di Santa Maria del Popolo, dove aveva abitato col padre fino al 1611. Con Artemisia “pittora” vivono il marito Pietro Antonio Stiattesi, la figlia Palmira di 3 anni, e tre servitori. Negli Stati delle Anime dell’anno seguente con Artemisia e la sua famiglia risultano anche i fratelli minori Giulio e Francesco, che un’annotazione definisce “partiti”. Una delle sue rare opere di questo periodo datate, appunto 1622, è il Ritratto di un gonfaloniere (Collezioni Comunali d’Arte Palazzo d’Accursio, Bologna). Nel 1626 è citata in due registri sempre della parrocchia di S. Maria del Popolo: a marzo battezza la figlia di Giovanni de Rubeis bolognese e Marta romana e negli Stati d’anime è citata con Palmira (chiamata Prudentia negli Stati d’anime del 1625) e la serva Domenica, mentre il marito già dal 1623 non compariva più nel nucleo familiare. Come a Firenze, a Roma la Gentileschi ha modo di stringere contatti e amicizie con personalità della cultura e dell’arte: dal collezionista e antiquario Cassiano dal Pozzo, al servizio del cardinal Francesco Barberini, al pittore Simon Vouet, che nel 1626 sposa un’altra pittrice, Virginia da Vezzo.

Nella cerchia di Cassiano, Artemisia conosce anche la miniaturista Giovanna Garzoni, membro dell’Accademia di San Luca. Come si ricava dalla sua corrispondenza, Cassiano raccomanda le due artiste a Fernando Afán de Ribera, duca of Alcalá, ambasciatore di Spagna a Roma dal luglio del 1625 a febbraio 1626, e vicerè di Napoli dal 1629 al 1631. Nelle lettere che sia Artemisia che la Garzoni mandano a dal Pozzo da Napoli nel 1630-31, lo ringraziano per la favorevole accoglienza ricevuta alla corte di Napoli, dove erano state chiamate in preparazione della visita dell’Infanta Maria, la sorella del re di Spagna Filippo IV, che si fermò a Napoli nei mesi di ottobre e novembre 1630.

Sono databili al soggiorno romano la Giuditta con la sua ancella di Detroit e lo splendido Sinite Parvulos (1624-25), già nella collezione del duca di Alcalá di ritorno a Siviglia (inventario 1632-1636), venduto dal Metropolitan Museum di New York nel 1979 e oggi dell’Arciconfraternita dei Ss. Ambrogio e Carlo presso la basilica romana di S. Carlo Borromeo al Corso.

Intorno alla metà degli anni Venti, probabilmente a Roma, Artemisia - ormai separata di fatto dal marito - conosce il “Master of the Musick” e agente del re d’Inghilterra Carlo I, Nicholas Lanier (1588 - 1666). Il padre John era di origini ugonotte, la madre Frances era figlia del musicista di corte Marco Antonio Galliardello, probabilmente veneziano. Nel 1627 Lanier si reca a Mantova con i fratelli di Artemisia, Giulio e Francesco, per negoziare l’acquisto delle collezioni Gonzaga, che costituiranno il nucleo delle collezioni reali inglesi. A partire dall’affermazione di Richard Symonds (che Lanier fosse “inamorato di Artemisia Gentileschi”), si è molto scritto su una possibile storia d’amore tra i due. Theodore de Mayerne, scrivendo intorno al 1630, riferisce di una “vernice d’ambra” che gli sarebbe stata data da Lanier che, a sua volta, ne aveva ottenuto la ricetta dalla “signora Artemisia, la figlia di Gentileschi”.

Alla fine del 1626 è documentata la presenza di Artemisia a Venezia, dove frequenta l’Accademia degli Incogniti fondata dal patrizio Giovan Francesco Loredan (1607 - 1661) e dipinge almeno l’Ester e Assuero del Metropolitan Museum, New York. A Venezia, Artemisia ritrova il pittore caravaggesco Nicolas Regnier (Maubege, 1591-92 - Venezia, 20 novembre 1667), che si era sposato a Santa Maria del Popolo con la romana Cecilia Bezzi il primo ottobre 1623, e con la moglie e forse la primogenita delle sue quattro figlie e allieve (Lucrezia Regnier, Clorinda Regnier, Angelica e Anna), approdò in Laguna nel giugno 1626.  

Lanier lascia Venezia nella primavera del 1628 dopo aver caricato parte delle collezioni mantovane sulla nave cargo Margaret, mentre il resto prese la via di terra per Basilea. Nel 1628 Artemisia è ancora a Venezia quando riceve un pagamento di 1467 giulii e 14 baiocchi per un dipinto di Ercole e Onfale commissionato dal re Filippo IV di Spagna. Nel luglio del 1629 Artemisia accetta un invito dal nuovo vicerè, il duca di Alcalà, ma probabilmente si trasferisce a Napoli con la figlia Prudenzia Palmira solo nei primi mesi del 1630, per sfuggire alla peste che aveva colpito Venezia. L’Annunciazione (Capodimonte) è firmata e datata 1630.

Napoli è la capitale del viceregno spagnolo e la seconda metropoli europea per popolazione dopo Parigi. A Napoli, oltre all’opera lasciata da Caravaggio, lavoravano in quegli anni i due maggiori seguaci del caravaggismo meridionale: Jusepe de Ribera e Massimo Stanzione. A Napoli l’artista sarebbe rimasta - salvo la parentesi inglese e trasferimenti temporanei - per il resto della sua vita, maritandovi la figlia (o le figlie, vedi oltre), godendo di una committenza prestigiosa e organizzando un’attività di successo anche in collaborazione con artisti locali come Stanzione e Viviano Codazzi, e a sua volta influenzandoli (in particolare Stanzione, Bernardo Cavallino e Francesco Guarino).

Il diplomatico e viaggiatore inglese Bullen Reymes, residente a Venezia tra il 1634 e il 1637, il 18 marzo del 1634 visita Artemisia a Napoli e riporta di aver visto la figlia Prudenzia Palmira che dipingeva e intratteneva gli ospiti della madre suonando la spinetta. Il 24 ottobre del 1637, dopo diversi rinvii, Artemisia spedisce a Roma - tramite il fratello Francesco - un Autoritratto (dovrebbe essere quello di Palazzo Barberini) a Cassiano dal Pozzo e tre grandi dipinti destinati ai cardinali Francesco e Antonio Barberini e a monsignor Ascanio Filomarino, futuro arcivescovo di Napoli (1641) e potente alleato di Artemisia. Scrivendo a Cassiano in questa occasione, Artemisia si lamenta di aver bisogno di denaro per la dote della figlia e gli chiede notizie del marito. Dei dipinti Barberini, uno rappresenta Cristo e la Samaritana, ora in collezione privata; il San Giovanni Battista nel deserto per monsignor Filomarino non è stato ancora identificato. 

Come in tutte le città dove ha vissuto e lavorato in precedenza, anche a Napoli Artemisia è nota e apprezzata in circoli colti e accademie, come dimostrano i versi a lei dedicati dai poeti partenopei Girolamo Fontanella e Francesco Antonio Cappone. Il tema di Artemisia come l’Aurora (“dalle dita di rosa”) della Pittura, cioè come colorista “celestiale”, ha indotto Jesse Locker a suggerire che il dipinto dell’Aurora possa essere appunto un autoritratto poetico. Questa idea è stata confermata e sviluppata con suggestive e convincenti argomentazioni storico-interpretative da Sheila Barker nella sua recente monografia, Artemisia Gentileschi (2022). Per la prima volta nella sua carriera, Artemisia riceve commissioni per opere pubbliche, come le tre tele del 1636-37 per la cattedrale di Pozzuoli: San Gennaro nell’anfiteatro di Pozzuoli, l’Adorazione dei Magi (entrambi a Capodimonte) e i Santi Procolo e Nicea (tornato nel coro della cattedrale di Pozzuoli nel 2014). Sono del primo periodo napoletano anche la Musa Clio (Pisa, Palazzo Blu, datata 1632) e la Nascita di san Giovanni Battista (Prado), parte di un ciclo di sei dipinti per il Cason del Buen Ritiro, residenza madrilena del Conte-Duca di Olivares. Gli altri quattro furono eseguiti da Massimo Stanzione e l’ultimo (oggi perduto) da Paolo Finoglia.

Nel 1638 Artemisia raggiunge a Londra il padre, che vi era giunto dalla Francia nel 1626 per assumere l’incarico di pittore di corte di Carlo I. I tre fratelli - Francesco, Giulio e Marco - l’avevano presto seguito. Forse la necessità di risanare le sue finanze la spinge a intraprendere una trasferta che era stata rinviata per due anni. Sicuramente le condizioni di salute dell’anziano padre che aveva ricevuto l’impegnativo incarico di decorare il soffitto della Queen’s House di Greenwich per la regina Henrietta Maria (Parigi, 25 novembre 1609 - Colombes, 10 settembre 1669). Dopo tanti anni, padre e figlia si ritrovano a lavorare insieme alla complessa allegoria del Trionfo della Pace e delle Arti. Che l’abbia  eseguito a Napoli prima di partire, o appena arrivata in Inghilterra, l’Allegoria della Pittura (Hampton Court Palace) è documentato per la prima volta nelle collezioni reali nel 1649, fu venduto nel 1651 dopo l’esecuzione di Carlo I e ritornò alla Corona con la Restaurazione. Il dipinto, che alcuni studiosi considerano un autoritratto come allegoria della Pittura (Garrard 2020), è firmato con le iniziali A.G.F. sulla lastra di pietra sotto la tavolozza della pittrice. Anche se altre opere di Artemisia sono documentate nelle collezioni reali, l’intero periodo londinese dopo la morte del padre (7 febbraio 1639) resta ancora da approfondire. Il 31 ottobre 1639 la regina di Francia, Maria de’ Medici (Firenze, 26 aprile 1575 - Cologne, 3 luglio 1642), madre della regina consorte Henrietta Maria, fa il suo ingresso trionfale a Londra. Artemisia la chiama “mia Signora” scrivendo il 16 dicembre del 1639 al duca di Modena e Reggio, Francesco I d’Este. Il duca le risponde nel marzo dell’anno seguente, indirizzando la sua lettera alla pittrice ancora a Londra. Poco si sa degli spostamenti successivi. Finchè nel 1649 ricompare a Napoli in corrispondenza con don Antonio Ruffo di Messina, che fu suo committente e agì come intermediario tra l’artista e altri collezionisti. In una lettera al Ruffo del 13 marzo 1649 Artemisia scrive che sua figlia si sta per sposare con un Cavaliere di Santiago. Alexandra Lapierre (1998), Bissell (1999) e Solinas (2011, 2013) hanno formulato diverse ipotesi sulla paternità di questa seconda? figlia, che potrebbe essere nata a Napoli all’inizio degli anni ‘30. Invece, con ogni probabilità la figlia che vive con Artemisia a Napoli è una sola e si tratta della “Palminia Schiattese” che si sposa con “don Antonio De Napoli” il 9 febbraio 1649, contestualmente al battesimo del loro figlio Biagio, come attesta il processetto matrimoniale ritrovato durante le ricerche documentarie condotte in occasione della mostra Artemisia Gentileschi a Napoli (Napoli, 2022-2023).

Nel 1651 Artemisia viveva nei pressi della chiesa di Santa Maria della Mercede in Montecalvario, in un appartamento affittato da Vittoria Corenzio, figlia ed erede del pittore Belisario (morto nel 1646). L’ultima lettera al Ruffo di cui si ha conoscenza è del gennaio 1651 e testimonia come l’artista, che scrive di essere convalescente da un malanno di stagione, fosse ancora in piena attività. Sono ascrivibili a questo secondo periodo napoletano la Susanna e i vecchioni di Brno (1649) e la Madonna col Bambino e rosario dell’Escorial (1651). L’ultimo dipinto di Artemisia datato (1652) è la Susanna e i vecchioni di Bologna (Polo Museale dell’Emilia Romagna, Collezioni della Pinacoteca Nazionale). 

Fino al 2005 si è creduto che Artemisia fosse morta tra il 1652 e il 1653, ma documenti recentemente rinvenuti dimostrano che accettò ancora commissioni nel 1654, sebbene avvalendosi sempre più dell’aiuto del suo assistente, Onofrio Palumbo. L’ultimo documento noto attesta che il 12 agosto 1654 Artemisia viveva a Napoli e vi pagava le imposte. Oggi si ritiene che sia rimasta vittima della pestilenza che colpì Napoli nel 1656, spazzando via un’intera generazione di artisti, da Stanzione a Bernardo Cavallino. Fu sepolta nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini a Napoli sotto una lapide, oggi perduta, che recitava semplicemente: “Heic Artemisia”.


While she was not the first ‘professional’ artist of the modern age, Artemisia Gentileschi has become an icon of feminism in women’s history. Not only she was an extraordinary artist, but also lived an equally extraordinary life.

Artemisia was born in Rome on July 8th, 1593, from Orazio and Prudenzia di Ottaviano Montoni. She was the first and only daughter of six children. Orazio Gentileschi was born in Pisa (he was baptized on July 9th, 1563) from a family of Florentine artists and goldsmiths: Gentileschi was the mother’s family name. The father’s family name was Lomi: Artemisia would use it during her time in Florence, due to the lasting fame of her grandfather, the goldsmith Giovan Battista, and of her uncles, painters Baccio and Aurelio, Orazio’s older brothers.

Orazio arrived in Rome when he was a teenager (between 1576 and 1578). He started his career as a late Mannerist painter, then was influenced by the naturalism of Caravaggio, of whom he became a personal friend, as shown by Orazio’s deposition on July 12th and 14th, 1603, during the defamation trial of the painter Giovanni Baglione against Merisi.

Artemisia’s second brother, Francesco, was baptized on June 11th, 1597. According to the records, at the time her family was living in “Platea Ss. Trinità” (currently Piazza di Spagna), parish of S. Lorenzo in Lucina. By the time when Orazio’s third son, Giulio, was baptized, on September 16th, 1599, the family reportedly resided in via Paolina (via del Babuino). The first-born son, Giovanni Battista, died on September 24th, 1601. On October 13th another male son of the same name was baptized, but he died on February 2nd, 1603. On May 30th, 1604, Marco was born. On December 26th, 1605, Artemisia’s thirty-year old mother Prudenzia died in childbirth. Thus, at the age of 12 Artemisia, had to take care of her three young brothers. She begun her apprenticeship at her father’s studio around 1608-1609. According to a letter dated 6 July 1612, written by Orazio to Christina of Lorraine, the dowager Grand Duchess of Tuscany, at that time his daughter had been training for three years. At the beginning of 1611 the Gentileschi family was reportedly living in via Margutta. Later they transferred in via della Croce and, at the beginning of 1612, in via Borgo Santo Spirito.

In 1610 Artemisia painted Susannah and the Elders (Graf von Schönborn collection, Pommersfelden, Germany), her earliest signed and dated work.

In 1611 Orazio started a fruitful partnership with Agostino Tassi (Ponzano Romano, January 22th, 1588 - Rome, March 12th, 1644), a well-respected landscape painter. Orazio wished Tassi to help him with the artistic education of Artemisia, the most talented and promising of his children, with some lessons on perspective drawing, at a time when the two artists were working at the frescos of Casino delle Muse, in the garden of cardinal Scipione Caffarelli Borghese’s palace (today Palazzo Pallavicini Rospigliosi). It is believed that the woman with fan inside the loggetta might represent Artemisia, who frequented the site as an apprentice, and sometimes as a model. Despite Tassi’s precedents, Orazio held Agostino in the highest esteem and trusted him completely. So much so that he allowed him to visit his home and spend time with the young and unmarried Artemisia. However, after several sexual approaches that Artemisia always rejected, on May 6th of 1611, taking advantage of Orazio’s absence, Tassi raped Artemisia. The violation happened at Gentileschi’s home in via della Croce, with the connivance of Cosimo Quorli, paymaster of the Apostolic Chamber, and a woman named Tuzia, a neighbor who often chaperoned the girl. This event marked in a most dramatic way the life and personality of Artemisia. The trial went on from March 2nd to October 29th, 1612. In her deposition, dated March 28th, 1612, Artemisia described the episode as follows: “He locked the door with the key and then pushed me on the edge of the bed. He put a hand on my chest and a knee in between my thighs so that I could not close them. After he pulled up my dress, which took him a lot of effort, he put a hand with a handkerchief over my neck and mouth so that I could not yell. Then he let go of my hands, which he was holding with his other hand. Having put both his knees in between my legs, he pressed his penis into my nature and he started pulling and he pulled it in”. Artemisia stated that, in an effort to defend herself, she scratched his face and pulled his hair, but Tassi still managed to violate her. After he raped her, Artemisia cut him with a knife, then started crying. Tassi tried to calm her down and said: “Give me your hand and I promise I will marry you as soon as I get out of this maze in which I find myself”. Artemisia remembered: “With this promise he persuaded me to give in to his sexual advances several times and every time he repeated the same promise. Later I found out that he already had a wife and I was desperate about this betrayal. But he always denied it, insisting he had no wife and that no one had had me but him”. When Chief inquisitor Francesco Bulgarello asked her if she had ever received any gift or money in exchange for her sexual intercourse with Tassi, she firmly denied it, saying that the only occasion in which they exchanged gifts was Christmas 1611: “for what I did with him, I only did because I thought he’d have married me as a consequence of having offended me”. When the judge ordered the midwives Diambra and Caterina to visit Artemisia to check whether she was still a virgin and, if not, how long she had lost her virginity for, the two women confirmed that she had been deflowered. Caterina also stated: “I say that she has been deflowered because the maidenhead is broken, and this happened a while ago and not recently”.

On May 14th, 1612, Tassi was once again summoned by the magistrates, who questioned his deposition. Artemisia was interrogated again in his presence and tortured with the sibille, which consisted in tying twines around her fingers while under oath and squeezing them to force her to say the truth. Tassi confirmed his previous depositions and challenged Artemisia, who was absent at that time, to confirm what she had testified. Artemisia was summoned once again. She confirmed all of her statements: “Like I said, I trusted him, and I could never believe he would violate me and wrong me and his friendship to my Father, and I did not realize that until […] he came onto me to violate me”. Later, the painter signed a memorandum to formalize her deposition in Agostino’s presence. He denied every word of Artemisia’s deposition and added that he had heard that she had been with another man. In response to that, Artemisia showed Tassi and the judges a ring, saying he gave it to her as a gift and a token of his promise to marry her. She ended her deposition saying she waited to denounce Tassi because she was hoping for him to marry her, but she had given up that hope as soon as she had learned that he was already married.

The trial lasted a few more months in order to allow the magistrates to verify the depositions of the other witnesses. Thanks to the research of Mary D. Garrard, we know that at least seven more depositions favorable to Agostino have been lost. On November 27th, 1612, Agostino Tassi was found guilty of raping Artemisia Gentileschi, corrupting the witnesses, and defaming Orazio Gentileschi. The judge Gerolamo Felice made him choose between five years of forced labor or the perpetual exile from Rome. Tassi chose the exile, but the sentence was never executed. Tassi remained in Rome and he kept working for his powerful clients.

While the trial was still ongoing, Orazio Gentileschi made arrangements to find a husband for his daughter. The contract was signed by both the future groom and is father in Florence, on August 17th 1612. He chose a modest Florentine painter (“apothecary”), Pierantonio Stiattesi (born in 1584). Pierantonio and Artemisia got married in the parish of Santo Spirito in Sassia on November 29th, 1612, two days after the sentence. The married couple moved to Florence early in 1613. Among the paintings ascribed to Artemisia’s early days in Rome: Susanna and the Elders (Graf von Schönborn collection, Pommersfelden, Germany, 1610), the Madonna and Child (1610-1611) at Galleria Spada in Rome, Judith Slaying Holofernes at Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli (1612-1613), and the Danae (Saint Louis Art Museum, USA - 1612).

Artemisia arrived in Florence with an excellent recommendation letter from her father to the dowager Grand Duchess, Christina of Lorraine. In the above mentioned letter dated July 6th, 1612, Orazio wrote that after three years of apprenticeship Artemisia had reached a mastery of the art comparable to that of a mature artist: “This woman, by God’s will, after I initiated her to the craft of painting, has become so proficient in just three years that I dare say that today she has no equal, as she has already completed works so fine that even the greatest masters of this craft couldn’t match them”.

Artemisia set up her atelier at her in-laws’ place, in via del Campaccio. Her uncle Aurelio Lomi introduced her to the Medici court, where she befriended Francesca Caccini, the virtuous singer, instrumentalist, and composer, portrayed by Orazio Gentileschi as a Saint Cecilia playing a lute (National Gallery of Art, Washington, D.C.). Artemisia’s Lute Player (Wadsworth Athaeneum di Hartford, CT (1616-18) is generally considered a self-portrait, whereas the one in the Galleria Spada (c. 1616) could be either a portrait of Francesca Caccini (Garrard 2020) or a homage to the memory of the first female composer who published an entire book of her music - Maddalena Casulana (doc. between 1544 and 1590), a madrigalist who was also a lute player.

In Florence Artemisia met the most illustrious personalities of her time, including Galileo Galilei, with whom she entertained an intense correspondence, and Michelangelo Buonarroti the Young, nephew of the famed artist. The latter introduced her to the learned literary and artistic Florentine academies, and helped her get many commissions. This intellectual and human partnership is represented in the Allegory of Inclination for the Galleria in the Casa Buonarroti, and also later in Aurora (1625-1627 or first Neapolitan period), painted for a Florentine client from the Buonarroti circle, after Artemisia’s departure from Tuscany.

On July 19th, 1616, Artemisia became the first woman to be admitted to the Accademia delle Arti del Disegno in Florence. She would remain a member until 1620. For the Medici family she painted a Mary Magdalene (1615-1616) and Judith and her Maidservant (1618-1619), both in the Galleria Palatina at Palazzo Pitti. The Saint Catherine of Alexandria (1618-1619) and Judith Slaying Holofernes (1620) are in the Uffizi Galleries.

In the meanwhile, despite their five children (Giovanni Battista born in 1613, followed by Agnola in 1614, both dead a few days after birth; Cristofano on November 8th, 1615; Prudenzia, known as Palmira, born on August 1st, 1617, and Lisabella, who only survived for 8 months, from October 13th, 1618 to June 9th, 1619), her marriage appeared to be based on mere convenience. Stiattesi was a poor manager of his wife’s career. Eventually, Artemisia had no choice but to invoke the benevolence of Cosimo II to pay her family’s substantial debts, and sought protection and passion in an extra-marital relationship with Francesco Maria Maringhi (1593 - post 1653). The affair presumably started around 1618 and went on after Artemisia and her family returned to Rome in 1620.

A bundle of 21 letters sent from Artemisia (and her husband) to Maringhi in 1618-1620, discovered in 2011 by Francesco Solinas in the Archivio Frescobaldi of Florence, offers an intimate, direct insight on the feelings and personality of Artemisia - from her financial worries and her grief for the death of her son Cristofano when he was just 4 years and a half, to her jealousy for her distant lover. Despite her limited literary skills (at the trial of 1612 she declared to be illiterate), Artemisia managed to find her voice and presented herself as a strong woman, determined to control her own destiny and win the respect and recognition that she deems herself worth of. A similar awareness of her talent and professional skills, but also of her struggles to stand out as one of the few women in her business, can be found in her later correspondence with some of the most eminent collectors of her time, including the Sicilian nobleman Antonio Ruffo (March 1649 - January 1651).

In March-April 1620 it is documented the execution of a “Portrait of Princess Savelli” which has been identified with the painting, formerly in the collections of Barbara Piasecka Johnson and Edmund and Lily Safra, auctioned at Sotheby’s, New York on January 27, 2022, lot no. 31. The lady depicted – wearing a luxurious black velvet dress embroidered in gold – could be Paolo Savelli’s wife, Caterina, also born Savelli (? December 1588 – Albano? 4 October 1638), and his first cousin. Paolo Savelli (Rome, 1571 – 21 July 1632), prince of Albano from 1607 and marshal of Santa Romana Chiesa, was the most important patron of Orazio Gentileschi in Rome as early as 1613, and a letter dated 27 March 1615 from Pietro Guicciardini from Rome to Andrea Cioli in Florence attests that, in 1615, Gentileschi resided in Palazzo Savelli (“he stays in the house of Prince Savello” (Crinò-Nicolson 1961), before moving to the Marche.

In Easter 1621 Artemisia is registered in the Stati d’anime in a flat in via del Corso, opposite the gardens of the San Giacomo degli Incurabili hospital, in the parish of Santa Maria del Popolo, where she had lived with her father until 1611. Her husband Pietro Antonio Stiattesi, her 3 year-old daughter Palmira, and three servants live with Artemisia “pittora”. In the Stati d’anime of the following year, with Artemisia and her family there are also her younger brothers Giulio and Francesco, described as “partiti” (gone) in a note. One of her few works of the period dated (1622) is the Portrait of a Gonfaloniere (Bologna, Municipal Art Collections Palazzo d’Accursio). In 1626 she is mentioned again in two registers of the parish of Santa Maria del Popolo: in March she is the godmother of the daughter of Giovanni de Rubeis from Bologna and Marta “Romana”, and in the Stati d’anime she is mentioned with her daughter Palmira (called Prudentia in the Stati d’anime for the year 1625) and the servant Domenica, while her husband from 1623 no longer appeared in the family nucleus.

In Rome, as in Florence, Artemisia had the chance to meet and befriend personalities in the arts and cultural scene, such as the collector and scholar Cassiano del Pozzo, who served as secretary of Cardinal Francesco Barberini, and painter Simon Vouet, who got married in 1626 to another female painter, Virginia da Vezzo. In the circle of dal Pozzo, Artemisia met the miniaturist Giovanna Garzoni, a member of the Accademia di San Luca. As we learn from his corrispondence, Cassiano recommended both artists to Fernando Afán de Ribera, Duke of Alcalá, Spanish ambassador in Rome in 1625 and viceroy of Naples from 1629 to 1631. Artemisia and Garzoni’s letters, sent from Naples to dal Pozzo in 1630-31, show how both artists were welcomed in the viceroy’s court, where they were invited in preparation for the arrival of the Infanta Maria, sister of Philip IV of Spain, who resided in the city during the months of October and November 1630. 

The Judith and her Maidservant in Detroit, and the beautiful Sinite Parvulos, inventoried in the collection of the Duke of Alcalá back to Seville from Naples (1632), deaccessioned by the Metropolitan Museum in 1979, and now is in the basilica of San Carlo Borromeo al Corso in Rome, date around this time.

Around 1625, probably in Rome, Artemisia - de facto separated from her husband - met Nicholas Lanier (1588-1666), “Master of the King’s Musick” and agent of King Charles I. Nicholas’ father, John, had Huguenot origins, while his mother Frances was the daughter of court musician Marco Antonio Galliardello, presumably a Venetian. In 1627, Lanier traveled to Mantua accompanied by Artemisia’s brothers, Giulio and Francesco, to negotiate the purchase of the Gonzaga collection, which would become the core of the Royal Collection. A lot of ink has been spilled on an alleged love story between the two. Theodore de Mayerne, writing around 1630, mentions a “vernice d’ambra” which was given to him by Lanier, who had got the recipe from “signora Artemisia, la figlia di Gentileschi”.

At the end of 1626, Artemisia was reportedly staying in Venice, where she attended the Accademia degli Incogniti, founded by patrician Giovan Francesco Loredan (1607 - 1661), and completed the Esther before Ahasuerus (Metropolitan Museum, New York). While in Venice, Artemisia met the caravaggesque painter Nicolas Regnier (Maubege, 1591-92 - Venice, November 20th, 1667). He had married the roman Cecilia Bezzi in the parish church of Santa Maria del Popolo on October 1st, 1623, and with his wife and perhaps the first born of his four daughters and pupils (Lucrezia Regnier, Clorinda Regnier, Angelica e Anna), arrived in the Venetian Lagoon in June 1626. 

Lanier left from Venice in the Spring of 1628, after a portion of the Mantua collection had been loaded on the cargo ship Margaret, while the rest of it travelled by land through Basel. In 1628 Artemisia was still in Venice when she received a payment of 1467 giulii and 14 baiocchi for a painting of Hercules and Omphale, commissioned by the Spanish king Philip IV. 

In July 1629, Artemisia accepted an invitation by viceroy Duke of Alcalà but she probably moved to Naples with her daughter Prudenzia Palmira only in the early months of 1630, to avoid the plague that was ravaging Venice. The Annunciation (Capodimonte) is signed and dated 1630. 

Naples was at the time the capital of the Spanish viceroyalty and the second greatest European city by population, after Paris. Aside from the works left by Caravaggio himself, Naples hosted two of the leading figure from Caravaggio’s school in the South: Jusepe de Ribera and Massimo Stanzione. Artemisia remained in Naples for the rest of her life, except for her trips to England and some occasional travels. Here she found a husband for her daughter (or daughters, see further below). She entertained illustrious clients and organized successful partnerships with local artists such as Stanzione and Viviano Codazzi, whom she also influenced (in particular Stanzione, Bernardo Cavallino and Francesco Guarino). The English diplomat and traveller Bullen Reymes, based in Venice from 1634 to 1637, on March 18th, 1634 visited Artemisia in her Neapolitan residence. Her daughter Prudenzia Palmira is said to be both a painter and a player of the spinet. On 24 October 1637, after numerous postponements, Artemisia finally delivered to Rome - through her brother Francesco -a Self Portrait (it should be the one in Palazzo Barberini) to Cassiano dal Pozzo and three large paintings for Cardinals Francesco and Antonio Barberini and Monsignor Ascanio Filomarino, future archbishop of Naples (1641) and Artemisia’s powerful ally. In her letter to Cassiano on this occasion, Artemisia expressed her need of money for her daughter’s dowry and enquired about whether her estranged husband was alive or dead. One of the paintings presented to the Barberini Cardinals is Christ and the Woman of Samaria, presently in a private collection; the Saint John in the Desert for Monsignor Filomarino is still to be located.

In Naples, as in all the cities where she had lived and worked before, Artemisia was well-known and held in great esteem by the cultural elites and academies, as shown by the verses Neapolitan poets Girolamo Fontanella and Francesco Antonio Cappone dedicated to her. The theme of Artemisia as an Aurora (“rosy-fingered”) of Painting - a “celestial” colorist - made Jesse Locker speculate that her Aurora painting could be a self-portrait. This idea has been confirmed and developed with suggestive and convincing historical-interpretative arguments by Sheila Barker in her recent monograph, Artemisia Gentileschi (2022). For the first time in her career, Artemisia got commissions for public works, like the three canvases she painted in 1636-37 for the cathedral of Pozzuoli: Saint Januarius in the Amphitheatre at Pozzuoli, the Adoration of the Magi (both in Capodimonte), and Proculus and Nicea (returned to the choir of the cathedral of Pozzuoli in 2014). Clio, the Muse of History (Pisa, Palazzo Blu, 1632) and The Birth of Saint John the Baptist (Prado) - which belongs to a group of six artworks made for the Cason del Buen Ritiro, the Madrid residence of the Count-Duke of Olivares - are also representative of her early Neapolitan period. The other four paintings in the group were created by Massimo Stanzione and the last of them (now lost) by Paolo Finoglia.

In 1638 Artemisia joined in London her father , who had made his way there from France in 1626 to become the court painter of King Charles I. Her brothers - Francesco, Giulio and Marco - soon followed him. The need to replenish her finances might be the reason behind this trip, which had been delayed for two years. For sure the health of her elderly father, who had received the challenging task to decorate the ceiling of the Queen’s House in Greenwich for the queen consort Henrietta Maria (Paris, November 25th 1609 - Colombes, September 10th 1669), played a role in her decision. After so many years, father and daughter worked together at a complex Allegory of Peace and the Arts. Whether it was painted in Naples or after her arrival in England, the Allegory of Painting (Hampton Court Palace) is first documented the Royal Collection in 1649, was sold in 1651 after the king’s execution and recovered for the Crown at the Restoration. The painting, which a few scholars consider a self-portrait in the guise of allegory of Painting (Garrard 2020), is signed with initials (“A.G.F.”) on the stone lab beneath the painter’s palette. Although a few more works by Artemisia are documented in the royal collections, the whole London period after the death of her father (February 7, 1639) needs to be further researched. On 31 October 1639 the Queen of France, Maria de’ Medici (Florence, April 26th 1575 - Cologne, July 3rd 1642), mother of queen consort Henrietta Maria, made her triumphal entry into London. Artemisia called her “mia Signora” writing to the Duke of Modena and Reggio, Francesco I d’Este, on December 16th, 1639. The Duke answered her in March of the following year, addressing his letter to the painter still in London.

At the dawn of the English Civil War in 1642 Artemisia had already left England.

Not much is known about her later travels. Finally, in 1649 she reappeared in Naples, corresponding with don Antonio Ruffo in Messina, the collector who was her mentor and patron. In a letter to Ruffo dated 13 March 1649, Artemisia described her daughter as being about to marry a Knight of Santiago. Alexandra Lapierre (1998), Bissell (1999) and Solinas (2011, 2013) speculated on the possible identity of the father of this second? daughter, who may have been born in Naples in the early 1630s. In fact, in all likelihood there was only one daughter who lived with Artemisia in Naples, and it is the "Palminia Schiattese" who married “don Antonio De Napoli” on 9 February 1649, at the same time as the baptism of their son Biagio, as evidenced by the marriage process found during the documentary research carried out on the occasion of the “Artemisia Gentileschi In Naples” exhibition (Naples, 2022-2023).

In 1651 Artemisia was living opposite Santa Maria della Mercede in Montecalvario, in quarters rented from the daughter of the deceased painter Belisario Corenzio. The last letter to Ruffo of which we have notice is dated January 1651 and shows how Artemisia, while recovering from a winter illness, was still fully active. The Susannah and the Elders (1649, Brno) and the Madonna and Child with a Rosary (1651, Escorial) both date to her late Neapolitan period. Artemisia’s last dated (1652) painting is Susannah and the Elders (Bologna, Polo Museale dell’Emilia Romagna, Collezioni della Pinacoteca Nazionale).

Until 2005 it was believed that Artemisia died sometime between 1652 and 1653. However, recent findings show that she was still accepting commissions in 1654, although she was getting more and more help from her assistant Onofrio Palumbo. The last known record shows that in August 1654 Artemisia was living in Naples and paying local taxes. It is now widely held to be true that she was a victim of the pestilence that affected Naples in 1656 and wept out an entire generation of artists, including Stanzione and Bernardo Cavallino. Artemisia was buried in the church of San Giovanni deiFiorentini in Naples. Her headstone, now lost, simply stated: “Heic Artemisia”.

Alessandra Masu


Fonti archivistiche e Bibliografia

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Rossella Vodret, “Alla ricerca di “Ghiongrat”. Novità su alcuni artisti citati nei libri parrocchiali romani dal 1600 al 1630”, in Alla ricerca di “Ghiongrat”. Studi sui libri parrocchiali romani (1600-1630) a cura di R. Vodret, L’Erma di Bretschneider, Roma 2011, pp. 63-65 e note 405-410.

Giovanni Battista Passeri, Vite de’ pittori, scultori ed architetti, che anno lavorato in Roma: Morti dal 1641 fino al 1673, Gregorio Settari, Roma 1772.

Filippo Baldinucci, Notizie de’ professori di disegno da Cimabue in qua, Firenze, 1681-1728, Stecchi e Pagani, Firenze 1812.

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Mary Garrard, Artemisia Gentileschi: The Image of the Female Hero in Italian Baroque Art, Princeton University Press, 1989.

Alexandra Lapierre, Artemisia: Un duel pour l’immortalité, Éditions Robert Laffont, Paris 1998.

Raymond Ward Bissell, Artemisia Gentileschi and the Authority of Art: Critical Reading and Catalogue Raisonné, Pennsylvania State University Press, 1999.

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Ibidem, Consuelo Lollobrigida, “Women Artists in Casa Barberini: Plautilla Bricci, Maddalena Corvini, Artemisia Gentileschi, Anna Maria Vaiani, and Virginia da Vezzo”, pp. 119-130.  

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Sheila Barker, “Art as Women’s Work: the Professionalization of Women Artists in Italy, 1350-1800”, in By Her Hand, catalogo della mostra, Wadsworth Atheneum, Hartford, CT 2021-2022; Detroit Institute of Arts, Detroit, MI 2022, pp. 43-51; Ibidem, schede nn. 24-26 e 28-30 di Oliver Tostmann, scheda n. 27 di Eve Straussman-Pflanzer, pp. 101-121.

Sheila Barker, Artemisia Gentileschi, Lund Humphries Publishers Ltd, London - Getty Publications, Los Angeles 2022.  

AA. VV., Artemisia Gentileschi a Napoli, catalogo della mostra Napoli, Gallerie d’Italia, Napoli 2022-2023.

Scheda biografica “Gentileschi Artemisia” in Centro di documentazione delle donne artiste di Bologna: https://www.cittametropolitana.bo.it/pariopportunita/Gentileschi_Artemisia