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Lavinia Fontana

Lavinia Fontana, ritrattista, pittrice di storia e di mito, paesaggista e interprete di pale d’altare, è stata una delle prime e più influenti donne artiste della pittura italiana. La sua personalità artistica è stata ampiamente indagata, tanto che le fasi della sua attività e gli intensi rapporti e scambi tra la pittrice e i suoi committenti costituiscono un esempio metodologico per lo studio di altre artiste dell’età moderna.

Figlia di Prospero, protetto da papa Giulio III, per cui è a servizio stabile a Roma tra il 1553 e il 1555, Lavinia apprese i primi insegnamenti nella bottega del padre, all’interno della quale poté entrare in contatto con illustri committenti, artisti, eruditi come Ulisse Aldovrandi e Gabriele Paleotti. Qui acquisisce gli stilemi del tardo Rinascimento, rielaborandoli in un suo linguaggio aderente ai dettami della Controriforma e che ben presto la distanzierà sia da Prospero che da Denys Calvaert, i protagonisti della pittura bolognese della seconda metà del secolo.

Nel 1576 licenzia uno dei suoi primi lavori, il Cristo con i simboli della Passione (El Paso, Museum of Art), dove all’invenzione zuccaresca, di severo misticismo romano, giustappone la grazia correggesca.

L’anno seguente firma e data l’Autoritratto alla spinetta (Roma, Gallerie dell’Accademia di San Luca), realizzato in occasione delle nozze con Gian Paolo Zappi, figlio cadetto di una famiglia della piccola aristocrazia di Imola, con il quale avrà ben undici figli.

Al momento del matrimonio Lavinia era già una stimata ritrattista. Sperimenta soluzioni in debito sia verso il più anziano Bartolomeo Passerotti, in quegli anni il ritrattista più reputato di Bologna, per i gesti e le pose nello spazio e per il racconto delle ‘cose’ che restituiscono la vita dell’effigiato, e sia verso Prospero, in particolare per la prospettiva di stanze che si allungano silenziose nel fondo, un’idea che il padre aveva acquisito nell’allestimento di spettacoli teatrali. La frequentazione del teatro le facilitò anche l’accesso alla produzione di dipinti di storia e di mito, come la Visita della regina di Saba al re Salomone (Dublino, National Gallery), dove il soggetto allegorico, reperito nei Dialoghi di Torquato Tasso, e l’impianto scenografico, ripreso dagli exempla del padre, costruiscono uno spettacolo aggiornato sull’inquietante ambiguità del teatro elisabettiano.

La sua fama di ritrattista si diffuse rapidamente a Bologna, dove Lavinia è amata per la diligenza ottica con cui riprende - perfino nei merletti o nei gioielli - motivi emblematici o araldici, ma anche per la capacitò di guardare ai suoi personaggi con capacità d’introspezione psicologica. Laudomia Gozzadini, Costanza Alidosi, Isabella Ruini, Costanza Sforza Boncompagni, quest’ultima nuora di papa Gregorio XIII, sono solo alcuni dei nomi delle nobildonne “a quali col genio inclinava ed assai comodamente bene faceva; e la sua abitazione per la virtù che ella aveva era grandemente frequentata” (Baglione 1642).

La Fontana si confronta anche con il genere del paesaggio, trattato nel San Francesco che riceve le stimmate (Bologna, Seminario diocesano), firmato e datato 1579, e nel Noli me tangere (Firenze, Uffizi), firmato e datato 1581.

Lavinia è stata la prima artista donna ad aver ricevuto commissioni di opere pubbliche a destinazione sacra e profana. Nel 1584 il Consiglio di Imola la incaricò di decorare la cappella del magistrato nel Palazzo Comunale, per la quale esegue la Madonna Assunta di Ponte Santi e i santi Cassiano e Pier Crisologo (Imola, Pinacoteca Comunale).

Se il periodo bolognese è ormai chiaro, e chiaro è il suo sviluppo fino al primo viaggio a Roma, rimane ancora problematica la ricostruzione del periodo romano, rispetto al quale si hanno alcune certezze e molti dubbi. Nel periodo del pontificato di Sisto V (1585-1590) si colloca il primo probabile soggiorno a Roma e l’incontro con Alfonso Ciacconio, segretario del cardinale spagnolo Francisco Pacheco, che le fa ottenere la prestigiosa commissione per un quadro destinato all’altare del Pantheon degli Infanti nel monastero dell'Escorial a Madrid: la Sacra Famiglia col Bambino dormiente e san Giovannino, firmata e datata 1589.

Una serie di lettere tra l’artista e il cardinale Girolamo Bernerio, colto padre domenicano, testimonia l’incarico per la realizzazione della Visione di san Giacinto (firmata e datata 1599) per la cappella del Santo nella Basilica romana di Santa Sabina. L’iconografia del santo, seppur affrontata da Ludovico Carracci e Guido Reni, viene qui codificata da Lavinia, la cui invenzione fu lodata dal Giambologna che ebbe in visione il bozzetto dell’opera.

Entro la primavera del 1604 si colloca il trasferimento definitivo a Roma, dove secondo Van Mander è giunta nel 1603 (Vaes 1931; Ghirardi 2019) per eseguire la pala con la Lapidazione di santo Stefano per la chiesa di San Paolo fuori le Mura. Anche se le opere romane superstiti sono poche, sappiamo che nella capitale l’artista fu oberata di lavoro, come documentano le numerose lettere tra Lavinia e le molte nobildonne romane che ambivano ad avere un suo ritratto, e capolavori come Bianca degli Utili Maselli con un cane e sei suoi figli (collezione privata). Nel 1606 firma e data - “lavi.a fon.a f . 1606.” - una Testa di giovane (Roma, Galleria Borghese), menzionata a partire dal 1650 negli inventari della Galleria Borghese, dove pervenne forse per acquisto del cardinal Scipione, nipote di papa Paolo V (Della Pergola 1955-1959). La tempera si avvicina agli studi di teste di carattere di Annibale Carracci, proprio in quegli anni artista di successo a Roma (Ghirardi 2019).

Rimane a testimonianza della sua prolifica attività artistica a Roma anche l’importante decorazione della cappella Rivaldi (1611-1614)nella chiesa di Santa Maria della Pace, nella quale lavorò insieme con l’Albani e il Passignano, realizzando la Santa Caterina, la Santa Cecilia, la Sant’Agnese e Santa Chiara, dipinte su lavagna, e i ritratti su rame dei committenti: i coniugi Gaspare Rivaldi e Ortensia Mazziotti.

Di datazione ancora controversa è la Cleopatra della Galleria Spada di Roma (Capriotti 2020), restituita a Lavinia da Federico Zeri (1954) e confermata da tutta la letteratura successiva (Ghirardi 1984; Fortunati Pietrantonio 1986; Cantaro 1989). Meno condivisa la datazione del quadro, da alcuni ritenuta una manifestazione delle tendenze arcaizzanti e neogotiche maturate in pittura alla fine del Cinquecento e perciò da collocarsi entro gli anni novanta del secolo XVI (Zeri, Ghirardi, Fortunati Pietrantonio), mentre per altri riflesso culturale degli intensi contatti con l’Oriente sviluppatisi sotto il pontificato di Paolo V Borghese e dunque da avanzare post 1605, ovvero nell’ultimo decennio di attività̀ della pittrice (Cantaro).

L’ultima sua opera è la Minerva in atto di abbigliarsi per il cardinal Scipione Borghese (1613, Roma, Galleria Borghese).

I fondamentali studi di Vera Fortunati hanno insegnato che Lavinia immortalò le “donne virtuose del Tasso” perché ricevette commissioni da gentildonne della nobiltà neofeudale e da insigni aristocratici, eruditi ed ecclesiastici nella Roma tra fine Cinquecento e primo Seicento, e perfino dalla corte del re di Persia, attraverso l’ambasciatore, e dal pontefice Paolo V.  Nella recente letteratura critica relativa alle donne artiste tra Cinque e Seicento è stato ormai dimostrato che rappresentare la donna attribuendole una inconsueta caratterizzazione di Fortitudo non soltanto morale ma anche fisica, quale exemplum virtutis, è alla base della diffusione tra le corti in Europa di commissioni di soggetti aventi come protagoniste eroine bibliche. È evidente pertanto che le dame aristocratiche preferissero essere ritratte, in un neanche troppo celato disguised symbolism, attribuendo i propri lineamenti ad un modello di donna ideale che esalti attraverso il candore delle perle la Castitas, la Fortitudo e la Fides (non disgiunta dalla Fidelitas) dell’eroina veterotestamentaria: soprattutto la capacità di resistere alla tentazione (demoniaca dei sensi ma anche di teorie eretiche) nell’esaltazione delle virtù religiose o muliebri/coniugali.

Negli ultimi anni di vita la Fontana fu colta da una crisi mistica che nel 1613 la portò a ritirarsi nel monastero della Figliolanza della Religione dei Padri Cappuccini, assieme al marito e ai tre figli sopravvissuti.

Morì a Roma, nella parrocchia di S. Nicola in Arcione, l’11 agosto del 1614 e fu sepolta nella chiesa domenicana di Santa Maria sopra Minerva (Galli 1940, p. 35). La sua lapide tombale è andata probabilmente dispersa nel 1870 durante l’inondazione del Tevere che portò il livello delle acque a 17,22 metri, la maggiore dal 1637.

Consuelo Lollobrigida


Fonti archivistiche e Bibliografia

Roma, Archivio storico diocesano, San Salvatore ai Monti, I (1606-1621), f. 47r:

 (1613) “Die X.a Januarij. Simon Lumaccius Tiphernas 50 circ[iter] anni in domo de Attava[n]ti[bus]; famulus Illustris d. Laviniae Fontana Pictricis celeberrimae hora 24 expir[avi]t, expiato a hora 16 seg[uen]ti diei in hac Ecclesia sepultus est. Decessit ex febri; confessus, sanctissimo sacr[ament]o pro viatico refectus, sacris olei unct[ion]e roboratus, du[m]q[ue] agonizavit”. 

 (Documento segnalato e trascritto da Alessandra Masu).

Giovanni Baglione, Vita de’ pittori, scultori et architetti... (1642), a cura di V. Mariani, Roma 1935, pp. 143 e s..  

Maurice Vaes, Appunti di Carel van Mander su vari pittori italiani, suoi contemporanei, in Roma. Rivista di Studi e di Vita romana, IX, 1, 1931, pp. 193-208, 341-356.

Romeo Galli, Lavinia Fontana pittrice 1552-1614, Imola 1940.

Federico Zeri, La Galleria Spada in Roma, Firenze 1954, p. 44.

Paola Della Pergola, Galleria Borghese. I dipinti, 2 voll., Roma 1955-1959, I, p. 36.

Angela Ghirardi, Una pittrice bolognese nella Roma del primo Seicento: Lavinia Fontana, in Il Carrobbio, X, 1984, pp. 148-161.

Vera Fortunati Pietrantonio, Lavinia Fontana, in Pittura bolognese del ’500, a cura di V. Fortunati Pietrantonio, 2 voll., Bologna 1986, II, pp. 727-775.

Maria Teresa Cantaro, Lavinia Fontana bolognese “pittora singolare” 1552-1614, Milano-Roma 1989, pp. 201-211.

Vera Fortunati (a cura di), Lavinia Fontana 1552-1614, catalogo della mostra (Bologna, Museo Civico Archeologico,1 ottobre-4 dicembre 1994), Milano 1994, pp. 11-36.

Vera Fortunati (a cura di), Lavinia Fontana: A Woman Artist in the Age of the Counter-Reformation, in Lavinia Fontana of Bologna 1552-1614, catalogo della mostra (Washington, The National Museum of Women in the Arts, 5 febbraio-7 giugno 1998), Milano 1998, pp. 13-31.

Caroline P. Murphy, Lavinia Fontana. A Painter and her Patrons in Sixteenth-Century Bologna, Cambridge 2003.

Consuelo Lollobrigida, Lavinia Fontana, in Les Dames du Baroque, Femmes peintres dans l’Italie du XVIe et XVIIe siècle (Museum voor Schone Kunsten, Gent, 20 ottobre 2018 – 20 gennaio 2019), a cura di Alain Tapié e Francesco Solinas, Gent 2018, pp. 72-99.

Angela Ghirardi, Historia de dos pintoras: Sofonisba Anguissola y Lavinia Fontana, catalogo della mostra A tale of two women painters (Madrid, Museo Nacional del Prado, 22 ottobre 2019-2 febbraio 2020), a cura di L. Ruiz Gómez, Madrid 2019, p. 162 e p. 251 nota 63.

Liana De Girolami Cheney, Lavinia Fontana’s Mythological Paintings. Art, Beauty, and Wisdom, Cambridge Scholars Publishing, 2020.

Stefania Biancani, Lavinia Fontana, in Le Signore del Barocco, catalogo della mostra, Milano, Palazzo Reale 2021, Skira, Milano 2021, pp. 152-167. Ibidem, Adriana Capriotti, scheda 3.12, pp. 301-302.

Scheda biografica “Fontana Lavinia” in Centro di documentazione delle donne artiste di Bologna: https://www.cittametropolitana.bo.it/pariopportunita/Fontana_Lavinia